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05 Dic

Scrivere – Riflessioni critiche

On: Rivista Scrivere, Scritti Editoriali, Scrivere vol. 1

Tra le righe, oltre il senso

 


 

Una mente tutta logica è come un coltello tutto lama.
Fa sanguinare la mano che lo usa.
Rabindranath Tagore


 

Tessere le fila di un ragionamento e, alla fine, concludere con una prospettiva concreta, operativa, lungimirante, capace di fornire risposte ai tanti dubbi che assillano la vita di tutti noi e, nello stesso tempo, non precipitare nel baratro del luogo comune, del conforto ai moribondi.

 

Quanto tempo bisogna far passare, quante pagine di manoscritto leggere e trascorrere tra le dita, prima di arrivare a questo risultato? Non poche, di certo, eppure non bisogna farsi mancare la speranza, la più intensa e tormentosa virtù che dobbiamo coltivare nel piccolo orticello del nostro cuore.
Ma come? la logica torna ad essere faccenda di cuore? Perché no? Se il dubbio è sommovimento cerebrale, con tutte le conseguenze pratiche che esso determina, le radici non permangono nei sentimenti? In che modo possiamo dirci coinvolti in un ragionamento – quindi nel pieno di un processo che non abbiamo falsi pudori a definire logico – se non traendo forse dalla più angosciante e disperante condizione, cioè quella che ci porta a dubitare. Dubitiamo della correttezza dei nostri sillogismi, come dubitiamo della loro concretezza. Non è forse anche questa una condizione per svilupparli nel pieno della loro condizione di fondo che non può essere quella dell’ottusità determinista e deve essere quella dello scetticismo che prova e riprova ancora una volta, per sempre, fino all’estremo delle nostre forze? Quando ci riferiamo allo logica, e alle riflessioni che dalla logica si dipartono, non vogliamo vedere il sorriso sprezzante di chi ritiene di avere la verità in tasca.
La logica non è un guanciale sul quale fare sonni tranquilli, ma un processo di ravvicinamento alla verità, processo che non avrà mai una sua conclusione definitiva, anzi al contrario aprirà varchi sempre nuovi a una conoscenza insospettata, quindi anche a possibili sofferenze e a sforzi che prima avevamo messo da parte perché ritenuti inaffrontabili. Irrobustendo le nostre capacità di ragionare arriviamo a conclusioni meno affrettate e quindi a prodotti che conservano dell’antica tragedia il tono ma che sono più rassicuranti, anche se non definitivamente confortanti in modo assoluto. Chi si occupa di logica, riflettendo sui processi medesimi del pensiero non fornire ipnotismi per pacificare animi ribelli, al contrario produce individui in grado di fare i conti con la propria inquietudine di fondo, che così, con il ragionamento cosciente di sé, è più aderente ai problemi e alle cose, come è giusto che sia diventando consapevolezza e non irritabile ritrosia.
È il logico uno scettico? No. Nessuna risposta è più certa di questa. È egli un dogmatico? No. Anche questa risposta è certa di sé. Ma allora come stanno le cose? Stanno a metà strada. Non propendono per l’assoluto – che non è di questa dimensione – né per il relativo – che solo apparentemente rifiuta una dimensione ben precisa – ma riguardano l’ansietà e la disperazione del ribelle come un elemento propulsivo da utilizzare insieme e in combinazione produttiva con la pacatezza e la riflessione del ragionatore. Niente a questo mondo è risolto una volta per tutte, niente assume per sempre la coloritura con cui si presenta al suo apparire. Non è difficile che il nero diventi bianco e che il bianco trascolori nel nero. Basta sapere muovere i passi giusti, nella giusta direzione e nel momento giusto.
Lasciarsi divorare tranquillamente, senza battere ciglio, dalle fiamme interne, è faccenda d’altri tempi? Non proprio. Forse è solo un punto di partenza. Noi aspettiamo chi ci legge al suo punto di arrivo, alla prova del prodotto finito.
Dopo tutto, la rivista che ci ospita si chiama “Scrivere”, e non è un caso.

E.P.

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