Scrivere – Musica
Musica Scrivere scrivere scrivere
Nella musica le sole cose che contano sono oggi quelle che non hanno preso un aspetto definitivo, le composizioni che non si sono sigillate in un’opera. Esse cercano disperatamente di mostrare l’eternità dell’attimo in migliaia di battute altrimenti prive di senso. È questo che intendo per strumento da approntare nel laboratorio. Strumento ordinario, cioè con tutti i limiti, le ambiguità, le polivalenze, le contraddizioni che esso comporta. Nessuna guarentigia. Non mezzo sterilizzato, ridotto all’essenziale, griglia di verificazione che non verifica niente, il nucleo cui fa riferimento Carnap. Occorre che questo metodo venga impiegato per capire se è adatto a essere impiegato. Insomma, il suo collaudo non può essere preventivo. La libertà è l’utopia più facile perché ha l’agilità dell’imprevedibile. Sciolta in tutte le direzioni, non solo in quelle pensabili, non ammette sorprese in quanto qualsiasi sorpresa è di già compresa nella distruzione possibile di tutte le sorprese. Non ci sono indicazioni o direttive, più o meno camuffate, i settori della vita si presentano tutti in una volta, affollandosi in un caos che disturba perfino la semplice immaginazione. L’ordine predatorio cede il posto ad un ordine che non ammette specificazioni preventive, che suona continuamente nuovo e che nella sua stessa mancanza di ordine distribuisce l’ordine della libertà. Il caos è complesso e la complessità è caotica. Una putain respectueuse dalle cui tenere e castigate effusioni bisogna guardarsi.
Il loto che del fango si nutre richiede una capacità selettiva che non tutti posseggono. L’oscurità, capovolgendosi nel rifiuto coraggioso di ogni accomodamento, alla fine, non è mai fatica senza ricompensa. Tutto sta nel sapere trasformare l’avventura in una condizione di irrecusabile inutilità. Staccare un pezzo di questo processo significa compromettere non tanto la completezza, che non esiste, quanto una distribuzione relazionale, di certo più ampia e carica di quello che il pezzo, da solo, può comportare. Semi accontento di tale riduzione, lo stacco può essere facilmente fatto e tutto il materiale inserito in una distribuzione di tipo quantitativo. In questo modo, lo stesso materiale ritrova un suo senso, anche globale, ma non più relazionale in ogni sua parte. Da questa considerazione si ricava che se una parte viene avulsa da un contesto di reciproca significanza e viene inserita in un altro contesto, in cui si trova semplicemente archiviata, catalogata, il suo potenziale quantitativo diminuisce. È così che nel rinsecchimento dell’accumulo il materiale si decanta, semplificandosi quasi si spoglia, si slirizza, smarrendo le sue vere e proprie connotazioni reali, fino ad apparire come adulterata tecnicità progressiva, mito stucchevole di coerenze attorno al quale la memoria si affanna a fissare i paletti logici del rigorismo post-tridentino. È per questo che la parola straniera conferisce una certa aria di sostanza al testo, e ciò è di certo l’aspetto più meschino della faccenda. Spesso il senso smarrisce, non padroneggiando la lingua, ed emerge allora il lato musicale della parola, per altro avvilito in una sua esistenza querula. Una sorta di deformazione è forse possibile solo scendendo dentro la parola straniera, ma qui occorrono strumenti che spesso non ho a portata di mano. Il sogno di una figura luminosa col capo circondato da una corona di stelle, non è fatto eccezionale. Il vestito bianco è macchiato di verde. Un mare eterno dove entro e dove discendo, ma anche dal quale esco per portarmi in salvo.
Alcuni misteri barbari, celebrati in Tracia, in cerimonie notturne e in orge accompagnate da musica selvaggia, costituivano una estensione del servizio dionisiaco. Dissolventi rulli di grancassa. Come componente di una ricerca, che la coscienza immediata compie nell’ambito del suo obbligo a fare, il laboratorio è progetto e risultato, senza mai diventare possibile causa di nessuno di questi due elementi. C’è una identità straordinariamente costante tra il plotiniano occhio interiore e il sentimento dell’amore, in quanto entrambi muovono paralleli verso la bellezza. La generazione spontanea di un movimento adeguato alla cosa è questione d’intensità e di iniziazione. Finalizzandosi a se stesso, il laboratorio mi gira attorno, si arrocca, e nel difendersi, nell’attestare il proprio catalogo, mette fuori qualcosa, lascia i segni di un ritirarsi, di un’acquisizione che sbandiera vittorie mentre di fatto fugge di fronte a qualsiasi coinvolgimento, a ogni traccia di responsabilità. E, così facendo, io stesso mi preparo al richiamo sottile, al brivido lento e soccorrevole della inquietudine. Improvvisamente, il laboratorio come presente che vive, perde l’ottusità cadaverica e assume il senso sacrale dell’inviolabilità. Nel Parmenide questo aspetto si sviluppa secondo un’antinomia chiusa in se stessa. Evitare lo scalo nel reame di Melindia.
Alla fine, il viandante diventa la via, la musicalità è la sostanza. Dalla cosa, agendo sul suo dispiegamento, separo il senso, che come quantità unifica gli elementi del fare, e abbandono la tensione, che intuisco come qualità. Il senso è quindi la parte della cosa che unificando il concetto può subire modificazioni. Difatti, sigillato dalla nominazione, il concetto viene prodotto come oggetto. Devo fare presto a strappare ogni parvenza di ingiusto a tutto ciò. Anche la differenza che mi cataloga ricava dame un oggetto, e crede che io sia quell’oggetto, con le conseguenze che è facile immaginare. La prima porta cosmica corrisponde al solstizio di estate, la seconda a quella d’inverno. Muovendo dal secondo al primo solstizio il sole ascende, in caso contrario, discende. Nella tradizione indù la fase ascendente si avvia verso la porta degli dèi, quella discendente verso la porta degli uomini. Ce lac dur oublié que hante sous le givre, scrive Mallarmé illustrando la ghiacciata impenetrabilità di tutte le produzioni condannate all’oblio. Chi mi osserva, vedendomi come oggetto, contrae con me un impegno conoscitivo senza averne coscienza e senza volerlo. Molto spesso ciò accade sulla base di schemi e corrispondenze molto condizionati. Nessuno è disposto ad abbandonarsi senza garanzie. Se per caso tocco qualcuno per strada, chiedo subito
scusa. Il tabù del corpo è uno dei più feroci. Delle regole del campo ha la debolezza, ma anche l’indelebilità. All’improvviso il verde splendente dell’erba. L’irrigidimento fa sempre paura.
Ernesto Pris
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