Leggerezza
Leggerezza
L’etichetta è spesso rutilante, proprio per questo nasconde meglio. Essa nasconde quello che voglio vedere, io debbo nascondere ciò che lei mi fa vedere, ciò che mi obbliga a vedere. Così tutta l’effettualità modificativa rimane coperta da un’operazione di nascondimento. Accettare conduce al rifiuto di se stessi, alla fondazione di certezze che di altri rifiuti hanno fatto abiura. In tutto questo è implicito il senso della colpa, da cui viene il sentirsi in colpa, il bisogno di essere capiti, compresi, giustificati e, infine, assolti.
Questo è il Biedermeier che non si è limitato a dominare, come si ritiene, l’arte e la cultura tedesca dal Congresso di Vienna al milleottocentoquarantotto, ma continua anche oggi col miserabile culto del possibilismo e l’accettazione dell’a poco a poco.
Il linga partecipa della natura del fuoco, creatore o distruttore del cosmo. Ciò che conta è la sua capacità dimettere in risalto un conflitto che non ammette conciliazione. L’occhio complessivo vede storto, il suo discorrere nello spazio è temps retrouvé. È l’ora della durezza dai capelli crespi. Il lavoratore del sogno diventa capace di trasformare. Non considera più l’opera, ma il risultato. Allora torna nel bosco e cancella le tracce. Non toglie le trappole, perché è troppo altruista, crede ancora che qualcuno possa caderci dentro e scottarsi seriamente, fino a capire come è fatta la realtà. Sono pronto a costruire la discesa. Posso farla, la traccia, di fatto. Ma non posso disegnare una mappa, non ho indicazioni da dare, non posso costruire un modo operativo,ma solo indicare il metodo delle trappole. Sono pertanto educatore all’inganno, maestro della iperbole, professionista della leggerezza.
Ci perderemmo d’animo scrive Fontenelle se non fossimo sostenuti da idee false. Mi maschero e insegno l’arte del mascheramento. Così dissemino anche lo scompiglio e il panico, la confusione come fatto abituale del mondo, l’imbarazzo come elemento della scelta, il disordine come regola, lo spaesamento come preparazione e allenamento. Rifiuto che il vecchio trapassi nel nuovo e questo in quello, scambiandosi energia invece di distruggersi a vicenda, riemergendo nelle mille figure della immaginazione che riescono a dare corpo alla effimera stagione del cambiamento.
D’altro canto, perché negarmi il piacere dello scompiglio? Permettere le cose a posto basterebbe poco, almeno per quel che mi riguarda. Un gesto, comodo e conclusivo. Ma sarebbe un’ulteriore chiusura, un privilegio pesantemente orientale, privo della leggerezza che porta con sé il gioco, il brivido del possibile. Un coup de dés jamais n’abolira le hasard. Se la necessità domina il mio destino, non posso fare ameno di guardare con gli occhi dell’amore quella parte di vita che mi è più cara, anche se questa stessa è destinata ad assolvere il proprio compito infinito, a esaurire la sua parte. L’amore non lo si può sperimentare come qualità se non consegnandosi all’esperienza nella leggerezza.
Dall’altro lato, solo la molteplicità inarrestabile della quantità, la sindrome di Don Giovanni. Il ripresentarsi del desiderio è artificio del controllo, meccanismo del trattenere prigionieri dentro le mura delle corrispondenze protocollari. Un inganno con cui la vita si difende perpetuandosi. Ma l’amore è un’altra avventura che solo nell’assoluta alterità posso in parte sperimentare. Amore è la qualità dell’altro che scende nella relazione sperimentabile come possibile annientamento di ogni mia costruzione di sicurezza.
Il ladro arriva nell’oscurità e penetra inaspettato fornendomi l’unica spiegazione plausibile, l’assoluta necessità del tutto, la presenza dell’insieme delle relazioni possibili. Per questo l’amore è libertà, per essere estremamente egoista e chiuso nella sua leggerezza. Nel campo, dell’amore non posso parlare se non uccidendolo, producendolo come oggetto. Nella cosa, l’amore per l’assolutamente altro è amore perme stesso che dell’altro si impadronisce perdendosi nel viaggio, non accettandone la semplice accumulazione.
Il coinvolgimento è messa in gioco di sé e, proprio per questo rischio supremo, è impadronimento dell’altro in me. Il desiderio, anche sessuale, circola come collante e ripropone sempre il ritorno all’armonia dei controlli.
Se oriento il desiderio scelgo sulla base di una selezione, qualcosa che mi sollecita a ripristinare ordinamenti decaduti. Desidero quello che devo desiderare. L’assolutamente altro non lo desidero. Ecco perché uccido l’amore e mi lascio trascinare dal desiderio, perché sono sempre l’uomo d’ordine che solo nella volontà trova requie.
La radice della parola démone è quella di dare in sorte, essere il destino di qualcuno, la sua necessità. Gli dèi stessi sottostanno alla folgore di Zeus secondo Eraclito.
La semplicità non ha nome. Massa in fermentazione, bisogna anche parlare dello studio, dell’affanno, dell’attività pratica, del sacrificio. Ho lavorato per anni, per decenni, con accanimento. Ma anche con cecità. Sforzi fatti per conoscere di più? Non lo so. Che sarebbe mai questo conoscere di più? Di più di quanto? Di quello che sapevo prima? Ma questa mania è quella dei lettori di enciclopedie. Ingozzano qualsiasi oggetto e lo rigettano nel momentomeno opportuno. Fastidiosi moscerini, saltano su tutto, punzecchiando senza scopo solo per fare vedere agli altri quanto sono bravi. E gli sforzi? Quelli seri, costanti, progettati a lungo termine? Gli sforzi diretti a costruire una base di ragionamento? Di questi sforzi si possono fare valutazioni positive? Molti affermano di sì. Non ne sanno bene il perché, ma dicono di sì.
Da ciò deriva la supervalutazione dello studio come fatica, come impegno e sacrificio. Non sono molti quelli capaci di produrre uno sforzo simile a lunga scadenza, ma sono tanti coloro che lo desiderano e l’ammirano.
Anche il denigratore, il blasé, in fondo l’ammira se non altro come traguardo che non può essere raggiunto con quella leggerezza di comportamento che gli è abituale. Il superamento della condizione immediata è, forse al di là di tutto, un problema di discorso fatto a se stessi. Per questo motivo è anche discorso della leggerezza, primaria occasione della mancanza di rispetto verso gli altri. L’occasione con cui tutto questo viene detto, cioè prende struttura di parole, è anche l’estremo limite di tolleranza, al di là del quale tutto ripiega nel convenzionalismo che sigilla l’accumulo.
La paura sposta la condanna e l’ammirazione e le lancia, ambedue, in un giro vorticoso di sovraccariche, dove ogni momento crede di potere raggiungere la certezza di se stesso e non fa altro che riflettere specularmente l’imbroglio dell’altro. La fiducia nel progetto onnicomprensivo, per cui nacquero le grandi sintesi del pensiero, è andata affievolendosi almeno da Milton in poi. Oggi è scomparsa del tutto. L’esistenza ha finito di illudere le parole. Zeus possiede Io, la sacerdotessa di Hera. Vuole così avere non solo la realtà, ma anche il simbolo che la riflette.
In una processione che precede il sacrificio una suonatrice di timpano, vestita dalla nebride, precede seguita da una portatrice di tirso e da una donna che tiene un cerbiatto sulla nuca. Un’altra donna procede in senso inverso alla processione. Nessun pericolo reale viene comunque scansato. Tutti sono lì, gli allettamenti e le soddisfazioni, i riconoscimenti, la carriera, la considerazione degli altri, gli accumuli, il tronfio senso di sicurezza che dà il sapere, gli atteggiamenti di superiorità che vengono su naturali, come la respirazione. Il sovraccarico delle cieche speranze di Prometeo. La leggerezza del sogno.
Le trappole che appresti non possono mai del tutto evitare questi pericoli, quindi devi affrontarli dal di dentro, essere allettato, soddisfatto, riconosciuto, diventato oggetto della carriera, considerato, accumulato, saputo, e tutto questo deve essere vissuto e immaginato, confrontato e accettato, ma come un’avventura non come il desiderio soddisfatto di un avaro. Assenza e mimesi.
E dell’avventura deve avere il senso, anche la leggerezza e la mancanza di calcolo. Rompere l’accumulo non significa cancellarlo. L’archiviazione continua, solo che l’inquietudine dispiega il sentimento a una nuova possibilità in favore della immediatezza. Questa non si racchiude completamente nella modificazione, si apre e cambiando appresta una collocazione nuova e sconvolgente. L’immediatezza cresce a una nuova dimensione, riceve il proprio significato non più dai limiti che la inchiodavano nell’ambito della certezza, dove la volontà governava sovrana, ma dall’improbabile che si prospetta all’orizzonte. Per un momento le frontiere della coscienza immediata tacciono, non conferiscono definizione, non garantiscono nulla. Alla stessa maniera degli iniziati di Eleusi bisogna cercare il dio fuori di se stessi, lontano da ogni calcolo immediato. Buddha fugge all’alba dai resti di un banchetto, ma non so esattamente perché era disgustato.
G.G.
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