
Scrivere – Riflessioni critiche
Capire la realtà
“Esiste una conoscenza che toglie peso e portata a quello che si fa. E per la quale tutto è privo di fondamento tranne essa medesima. Pura al punto da aborrire perfino l’idea di oggetto, traduce quel sapere estremo secondo il quale fare o non fare un atto è la stessa cosa, e a cui si associa una soddisfazione altrettanto estrema: il potere di ripetere, a ogni incontro, che nessuno dei gesti da noi compiuti meriti la nostra adesione, che niente è avvalorato da una qualche traccia di sostanza, che la ‘ realtà’ è dell’ordine insensato. Una tale conoscenza meriterebbe di essere definita postuma: opera infatti come se chi conosce fosse vivo e non vivo, essere e memoria di essere. ‘È già passato’ dice costui di tutto ciò che compie, nell’istante stesso dell’atto, che viene così destituito per sempre di presente”.
E.M. Cioran
Di per sé il sogno è rischioso, bello ma rischioso. Entrarci dentro, non subirlo come qualcosa di inevitabile o, peggio ancora, di impedibile, ha il suo fascino, ma alla lunga fa sentire la distanza dalla realtà, da quella dura condizione che ci circonda con la quale, bene o male, dobbiamo fare i conti. Non per nulla gli antichi parlavano della nera Osiride, che aggiungeva qualcosa alla conoscenza ma che non poteva sostituirla in tutto, in caso contrario si entrava nel regno della morte.
Non si tratta di abbandonare il provvisorio per il definitivo, l’approssimato per ml’esplicito, in fondo anche nell’organizzazione della realtà, che il pensiero riflessivo ci mette a disposizione, c’è un luogo insondato dove non possiamo penetrare fino in fondo, ma non è questo il punto. Non accettando questa seconda limitazione – che è limitazione naturale dovuta alle nostre personali facoltà per necessità circoscritte e povere – accettiamo di permanere in una condizione di follia che insiste nello scambiare per conoscenza quello che, per il momento, non può essere considerato che illusione e sogno. E ciò senza nulla togliere alla bellezza e alla profondità dell’intuizione estetica che nessuno scetticismo può uccidere.
Mettere i piedi per terra è considerato, da molti, una sorta di fallimento, un modo disperato di tarparsi le ali, una dichiarazione di impotenza, una derubricazione di quello slancio chiarificatorio che ci aveva fatto volare al di sopra delle teste di tutti gli altri. Non è così, o almeno non lo è del tutto e, di certo non lo è per sempre. Le radici dell’esistenza, quelle che sembrano penetrare fino in fondo nel nostro cuore, sono, se ben si considera, originate dalla nostra condizione umana, da quello che sappiamo, da quello che abbiamo vissuto, da quello che andiamo costruendo, non soltanto da quello che siamo capaci di sognare. E si tratta di radici complesse como lo sono quelle dei sogni che ci spingono nel cielo della fantasia, solo che domandano una forza organizzativa e di auto-controllo di gran lunga maggiore di quella che di solito è richiesta per le fantasie, se non si vuole che la loro linfa vitale si dissecchi nella taciturna attesa di qualcosa che non può maturare da sola. Domandano di essere rivestite di parole, domandano di ricevere una struttura linguistica che dimostri e faccia vedere la loro origine, il loro sviluppo, la loro formazione e le loro possibili prospettive. Quello che domandano, in altri termini, è uno scritto organico, che di solito è chiamato “saggio”, e che trova corpo definitivo in un libro.
È sicuro che su questa terra non c’è nulla che riesca a evitare l’incertezza e il dubbio, fino alla fine, fin quando trova la sua stesura definitiva, in pratica se si ha il coraggio di guardare con attenzione e senza paura, fin quando trova la rigidità della morte. Ma non essendo necrofori, un attimo prima di leggervi l’irreversibile sguardo che fugge via per sempre, possiamo cogliere il messaggio conreto, tragicamente paradossale, che ci viene inviato, il messaggio che ci aiuta a meglio organizzare la nostra vita, tormentosa e disperante costruzione della nostra vita, implacabilmente indirizzata al futuro. Non nelle icone cerebrali che sono povera cosa, transeunte immersioni nelle acque del Lete, ma apertura ancora più disparante e angosciosa del sogno, l’indicazione della ragione che considera le cose da fare e attivamente vi si immerge senza velleità dilettantistiche e senza superficialità illusorie, vi si immerge sporcandosi le mani in ciò che c’è da fare e non in ciò che si immagina, o si desidera, ci sia da fare.
La vita è questa costruzione parsimoniosa e bizzarra che, a volte, ha bisogno del sogno per continuare a respirare, ma che non è nel sogno che può immergere i propri piedi friabili e dubbiosi, incerti nel passo e diffidenti. La ricerca e la riflessione non possono però gettare un sorriso sprezzante sul sogno e sulla sua concretizzazione poetica, ciò condurrebbe inevitabilmente a un immalinconimento della vita, per quanti buoni pasti e tranquilli sposalizi si possano fare.
Che nessuno dorma.
G.G.
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